UN GRIDO D’ALLARME PER IL FUTURO DELLA CITTA’

In Italia, il sistema dei diritti è sotto attacco incessante da oltre un decennio, a causa di contesti finanziari instabili, la pandemia, i conflitti Russo-Ucraino e Israelo-Palestinese, uniti alle forti tensioni in Mar Rosso. Questi fattori hanno prodotto e continueranno a produrre pesanti riflessi, rendendo inevitabile la riflessione su modelli che hanno caratterizzato la nostra vita dal secondo dopoguerra ad oggi. A peggiorare la situazione, il pesante debito pubblico italiano, che supera i 2860 miliardi (145% del PIL).

La UIL ritiene che l’unica soluzione sia ripartire attraverso il lavoro, promuovendo un lavoro di qualità.

Nel Mezzogiorno le cose vanno male, e in Puglia, specialmente a Taranto, la situazione si aggrava. Dei 39 tavoli di crisi in Puglia, ben 9 sono a Taranto, coinvolgendo complessivamente 10526 lavoratori. Questi dati drammatici si accompagnano a un tasso di disoccupazione del 12,1% in Puglia e del 13,3% a Taranto, mentre sul fronte dell’occupazione, i numeri sono rispettivamente del 42,6% e del 38,4%.

Il dato sulla cassa integrazione ordinaria rivela che il 34% del totale in Puglia appartiene a Taranto. Per quanto riguarda la cassa integrazione straordinaria nel 2023, su 19.305 posizioni aperte in Puglia, 11.208 riguardano Taranto, corrispondenti al 58,6% del totale.

Quando i tavoli di crisi a Taranto si dichiarano risolti, spesso significa che le aziende si sono ritirate, lasciando dietro di sé macerie, impoverimento e un esercito di lavoratori ex. Dai 134 lavoratori della ex Marcegaglia ai 44 della ex Miroglio, ai 40 in cassa integrazione per l’Area di crisi complessa dell’Ex Cementir, fino ai 109 delle tessiture di Mottola ex Albini. La situazione non è migliore neanche per i 330 lavoratori portuali della ex TCT, con l’ammortizzatore sociale che scadrà entro fine marzo 2024, e per gli oltre 1.600 lavoratori dell’ex Ilva in cassa integrazione straordinaria dal 2018.

La vicenda dell’ex Ilva ha recentemente visto la conclusione triste dell’amministrazione straordinaria, mettendo in luce l’allarme lanciato dalla UIL da anni sulla gestione industriale di Arcelor Mittal, giunta al capolinea di un viaggio mai iniziato. È ora essenziale, oltre a fermare la brusca discesa, fare chiarezza su quanto è accaduto e, soprattutto, su quanto non è accaduto e avrebbe dovuto accadere. Manca una politica che si assuma veramente le responsabilità delle scelte, coniugando i sacrosanti diritti individuali.

È ancor più doloroso notare che senza il prestito di 320 milioni da parte dello Stato, si sarebbe già parlato di deserto industriale, con un altro esercito di ex lavoratori delle Acciaierie d’Italia e dell’indotto per oltre 15.000 lavoratori, solo a Taranto. Centinaia di aziende dell’appalto sono sull’orlo del fallimento, minacciando licenziamenti.

A Taranto, l’assenza di un tavolo di discussione e confronto ha portato alla ripetizione degli stessi problemi della vicenda Ferretti. Dopo tre anni di autorizzazioni e parziale finanziamento da parte del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, l’investimento è andato a monte. La UIL aveva precedentemente lanciato l’allarme sull’attività imprenditoriale dei grandi gruppi industriali, spesso in contrasto con la burocrazia locale e le mutevoli condizioni di mercato. La mancanza di un investitore, nonostante le autorizzazioni ottenute, ha portato alla perdita di oltre 200 posti di lavoro diretti e di un importante indotto nel settore della cantieristica navale, evidenziando il silenzio del Gruppo Ferretti sulle promesse non mantenute.

L’idea di abolire la legge 145 del 30.12.2018, che avrebbe istituito a Taranto l’Istituto di Ricerche “Tecnopolo del Mediterraneo” con un finanziamento iniziale di 9 milioni di euro, è da rivalutare rapidamente. Anche se i fondi sono stati ridotti a 3 milioni nel corso del 2023, si può ancora razionalizzare l’uso di queste risorse, soprattutto considerando l’opportunità di utilizzare il 65° Deposito Territoriale dell’Aviazione Militare, dismesso nel 2018, come sede per l’istituto. Questa soluzione permetterebbe di evitare ulteriori sprechi di tempo, consumo di suolo e risorse, e potrebbe fungere da motore per la ricerca, l’innovazione e lo sviluppo sostenibile a Taranto. È essenziale riconoscere gli errori e agire prontamente per correggerli. Abbiamo bisogno di un nuovo modello di politica capace di gestire i profondi cambiamenti che ci circondano, comprendendo le sfide poste dall’innovazione e dall’intelligenza artificiale.

L’Italia si trova di fronte a una sfida demografica significativa, con stime che indicano una perdita di 8 milioni di abitanti entro il 2080, e il Sud e le Isole hanno già perso oltre 1 milione di abitanti tra il 2011 e il 2023. La situazione è particolarmente critica in Puglia, dove in un solo anno sono stati persi 15.000 residenti, con Taranto che rischia di estinguersi, data la bassa natalità e l’alto tasso di mortalità.

La perdita di popolazione comporta la riduzione dei servizi essenziali per i cittadini, soprattutto nel settore della sanità. La UIL ha sottolineato la necessità di un nuovo paradigma industriale per Taranto e per l’intero Paese, che ponga la città come esempio di innovazione e sviluppo sostenibile. Si propone un modello industriale e sociale diverso, capace di aumentare i salari e ridurre le ore di lavoro, prendendo spunto da alcune realtà europee che hanno adottato con successo questa strategia.

La UIL si impegna a confrontarsi su una vasta gamma di temi, compresi ambiente, energia, sicurezza, salvaguardia della manifattura e del made in Italy. Il sindacato sostiene il ritorno al centro della scena delle persone, mettendo l’accento su un nuovo modello di società equa che garantisca pari diritti e opportunità per tutti i cittadini.

Pietro Pallini
coordinatore generale UIL TARANTO